Articolo scritto in collaborazione con il Dott. Andrea Eduardo Ratti
Introduzione
Con ordinanza n. 20130 in data 24/09/2020, la Cassazione Civile, Sezione VI^, ha stabilito che l’imposta municipale propria (IMU) non si applica all’abitazione principale ed alle sue pertinenze [solo] quando in essa il contribuente possessore vi dimori abitualmente e vi risieda anagraficamente insieme al suo nucleo familiare.
Dello stesso tenore, le più recenti sentenze della Sezione Tributaria in data 3 e 4 novembre 2020 e l’ordinanza n. 28534 del 15/12 scorso.
I citati provvedimento della S.C. applicano rigorosamente il dettato della norma primaria contenuta nell’art. 12, co. 2°, D.L. n. 201/2011 (vecchia IMU) in linea con il costante orientamento secondo il quale le norme agevolative devono essere interpretate restrittivamente.
Peraltro, anche la nuova IMU, disciplinata dall’art. 1, comma 741 della legge di bilancio 2019, ricalca il dettato della vecchia pur con le precisazioni che in seguito si vedranno.
Fin qua, quindi, niente di nuovo. Infatti, altre sentenze, prima di queste, avevano sostanzialmente affermato lo stesso principio (cfr., ex pluribus, Cass. 4166/2020, Cass. n. 4170/2020).
La novità dirompente della pronuncia di settembre sta nell’escludere l’agevolazione tutte le volte in cui non sono soddisfatti contemporaneamente per ogni singola abitazione presa in considerazione i presupposti richiesti dalla norma con il risultato che, laddove – come nel caso deciso dalla Corte – due coniugi abbiano residenze diverse, l’esenzione non spetti né all’uno né all’altro.
E’ stata sostanzialmente introdotta la scriminante dello “spacchettamento della famiglia”: se residenza e dimora dell’intero nucleo non coincidono l’esenzione non si applica per nessuna abitazione della famiglia.
Le conseguenze di un tale arresto si preannunciano severe.
Infatti, non sarà colpito e punito solo il contribuente che abbia voluto eludere la norma sull’imposizione fiscale dissociando opportunamente residenza e dimora, ma anche quello a favore del quale ricorrerebbero circostanze tali da giustificare una deroga al requisito del nucleo familiare almeno per una delle abitazioni.
Una pronuncia come quella in esame, stesa senza operare i necessari distinguo, fa sorgere più di una perplessità.
Per questo, è prevedibile una lievitazione del contenzioso anche in considerazione dell’entità della ripresa fiscale per i cinque anni trascorsi che inevitabilmente seguirà all’applicazione di questo orientamento.
La norma vigente
La nuova IMU regolata dall’art. 1, comma 741 della legge di bilancio 2019, così dispone:
a) per fabbricato si intende l’unità immobiliare iscritta o da iscriversi nel catasto edilizio urbano con attribuzione di rendita catastale, considerandosi parte integrante del fabbricato l’area occupata dalla costruzione e quella che ne costituisce pertinenza esclusivamente ai fini urbanistici, purché accatastata unitariamente;
b) per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o da iscriversi nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile.
La disciplina della nuova Imu, quindi, prevede [solo] il caso in cui il nucleo familiare sia residente in immobili diversi nello stesso comune, esonerando dall’imposta solo una delle due abitazioni. Nulla però dice in ordine alle doppie case situate in comuni diversi (caso tipico quello dell’abitazione di villeggiatura in comune turistico ove il trasferimento della residenza di un componente del nucleo familiare – generalmente marito o moglie – ha finalità potenzialmente elusiva).
IMU – I requisiti nello specifico
L’abitazione principale è quella nella quale il contribuente dimora stabilmente e risiede anagraficamente insieme al suo nucleo familiare.
ABITAZIONE PRINCIPALE – la norma primaria chiarisce che trattasi dell’immobile non di lusso (sono quindi escluse le categorie catastali A/1, A/8 e A/9), iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio come unica unità immobiliare. Comprende le pertinenze.
DIMORA STABILE – è il luogo nel quale – di fatto – una persona abita e trascorre in maniera continuativa la propria vita personale. Non vi rientra il luogo di villeggiatura ma vi rientra l’abitazione dove si vive in forza di un contratto di locazione (si pensi allo studente universitario fuori sede).
RESIDENZA ANAGRAFICA – il codice civile all’art. 43 la definisce come il luogo dove si ha la dimora abituale (non stabile!) e, aggiunge la Cassazione, volontaria. La residenza è dichiarata all’anagrafe ed è certificabile.
Benchè vi sia l’obbligo di fissarla nel luogo nel quale si vive abitualmente pena la correzione d’ufficio delle iscrizioni anagrafiche esistenti e l’applicazione di sanzioni pecuniarie, può accadere, che la residenza anagrafica non coincida con la dimora abituale come è il caso del lavoratore che è costretto a spostarsi per motivi di trasferta. In teoria, tutte le volte che si cambia dimora abituale, si dovrebbe denunciare il cambio di residenza all’anagrafe. In pratica, assai spesso non lo si fa con il risultato che residenza e dimora abituale non coincidono.
A volte, la scelta di trasferire la residenza presso abitazione diversa da quella del nucleo familiare è [stata] proprio funzionale al godimento da parte di ciascuno dei coniugi della esenzione per abitazione principale sulla propria unità.
NUCLEO FAMILIARE – Non esiste una definizione di questa locuzione ma si può affermare che il nucleo familiare è quello con cui il contribuente vive nello stesso alloggio. Designa anche la famiglia tradizionale e la persona fisica che (da sola) vive in una casa. Non sempre, coincide con la famiglia anagrafica che è quella che risulta dal certificato di stato di famiglia anagrafico.
Mentre nello stato di famiglia i componenti abitano tutti sotto lo stesso tetto, del nucleo famigliare fanno parte anche genitori e figli che abitano in città diverse con i figli che dipendono ancora dai genitori. Quindi: nel nucleo familiare rientra la famiglia anagrafica e i soggetti fiscalmente a carico anche se non conviventi.
Qualche esempio:
- i CONIUGI fanno sempre parte dello stesso nucleo familiare anche quando non risultano nello stesso stato di famiglia perché hanno residenze diverse;
- i CONIUGI SEPARATI DI FATTO fanno sempre parte dello stesso nucleo familiare;
- i FIGLI MINORI che convivono con uno dei genitori fanno parte del nucleo familiare del genitore con cui convivono anche se a carico del genitore con cui non convivono;
- i FIGLI MAGGIORENNI NON CONVIVENTI MA A CARICO DEI GENITORI, fanno parte del nucleo familiare dei genitori;
- altre PERSONE presenti nello stato di famiglia anagrafico (es.: genitore, suocero, …);
- le PERSONE A CARICO anche se non presenti nello stato di famiglia del dichiarante.
Ne segue che non fanno parte del nucleo familiare:
I.- il CONIUGE con residenza diversa dal quale il dichiarante sia legalmente separato o nei confronti del quale abbia proposto domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio;
II.- il CONIUGE che abbia abbandonato il tetto coniugale quando sia stato accertato in sede giurisdizionale o amministrativa;
III.- il CONIUGE nei confronti del quale è stata proposta domanda di nullità del matrimonio;
IV.- i MINORI AFFIDATI A TERZI con provvedimento del Giudice;
V.- due CONVIVENTI ancorchè a carico dei genitori.
Nucleo familiare e reddito di cittadinanza
Vediamo come la locuzione nucleo familiare è definita dall’art. 2, co. 5 del Dl 4/2019 convertito con modificazioni nella L. 26/2019.
Ai fini del reddito di cittadinanza, i coniugi permangono nel medesimo nucleo anche a seguito di separazione o divorzio, qualora continuino a risiedere nella stessa abitazione; se la separazione o il divorzio sono avvenuti successivamente alla data del 1° settembre 2018, il cambio di residenza deve essere certificato da apposito verbale della polizia locale.
I componenti già facenti parte di un nucleo familiare come definito ai fini dell’ISEE, o del medesimo nucleo come definito ai fini anagrafici, continuano a farne parte ai fini dell’ISEE anche a seguito di variazioni anagrafiche, qualora continuino a risiedere nella medesima abitazione.
Il figlio maggiorenne non convivente con i genitori fa parte del nucleo familiare dei genitori esclusivamente quando è di età inferiore a 26 anni, è nella condizione di essere a loro carico a fini IRPEF, non è coniugato e non ha figli.
Tale definizione è applicata per una agevolazione reddituale e quindi non si può escludere sia applicabile anche per l’agevolazione ai fini IMU e, in tal senso, può essere di aiuto nell’interpretare la portata dell’espressione nucleo familiare.
L’incertezza della composizione del nucleo familiare
E’ evidente, a tutto voler concedere, come quello di nucleo familiare sia un concetto sfuggente ed insidioso.
Infatti, se applico i criteri di appartenenza o meno al nucleo famigliare come sopra delineati, ne possono venire fuori situazioni paradossali per cui a casi del tutto assimilabili a quelli per cui la Cassazione ha esplicitamente escluso il beneficio, lo stesso risulterebbe pacificamente ammesso.
Si pensi alla coppia non coniugata che pur dimori stabilmente sotto lo stesso tetto. Se i due mantenessero residenze anagrafiche diverse e ciascuno avesse un proprio stato di famiglia, nulla impedirebbe loro di godere (entrambi) dell’esenzione dall’IMU per la rispettiva abitazione.
Per converso, se una coppia di coniugi ha un figlio maggiorenne a carico ma non convivente con loro perché, per esempio, trasferitosi altrove per motivi di studio, la circostanza di non avere dimora abituale presso l’abitazione principale del contribuente escluderebbe il diritto all’esenzione. Si osserva che, teoricamente, il nucleo familiare è spacchettato per la dimora diversa del figlio, ma è evidente che nel caso di specie non sarebbe ravvisabile elusione alcuna.
Conclusioni
Il timore è che l’applicazione rigorosa e inflessibile di una norma che, per come scritta, di rigoroso ha poco, possa portare a distorsioni ingiustificate. Sarebbe auspicabile un intervento del legislatore che chiarisca una volta per tutte la portata dei requisiti indispensabili per godere dell’esenzione.
Avv. Angela Poggi
Dott. Andrea Ratti