Vuoi tutelare il tuo coniuge assicurandogli che, se tu non ci sarai più o non sarai più in grado di provvedere a lui/lei, non gli/le manchi una casa in cui abitare senza dover sostenere esborsi per acquistarla o affittarla.
Oppure devi riequilibrare i rapporti economici con il tuo coniuge.
O ancora, devi regolamentare i rapporti economici e patrimoniali con il tuo (ex) coniuge nel corso di un procedimento di separazione o di divorzio.
Quale sia la finalità, intendi perseguirla disponendo in favore del tuo coniuge di un immobile di cui sei proprietario.
A seconda del grado di tutela che hai in animo di offrire al tuo coniuge e/o della ragione (solo economica o anche affettiva) alla base di questa tua decisione, si prospettano varie soluzioni.
Vediamole.
1. Il trasferimento della proprietà dell’immobile
La più ampia forma di tutela è certamente rappresentata dal trasferimento del diritto di proprietà dell’immobile.
Questo caso si realizza quando un coniuge trasferisce all’altro la proprietà di un immobile di cui è già proprietario (ovviamente senza richiedere alcun corrispettivo) ma anche quando un coniuge paga con propri soldi il prezzo di un immobile il cui acquisto si perfeziona definitivamente in capo all’altro.
La piena ed esclusiva proprietà di un immobile consente al suo proprietario di poterne liberamente disporre.
Così, se si tratta di un immobile ad uso abitativo, il coniuge, che grazie alla disposizione dell’altro ne è divenuto proprietario, potrà decidere se abitarlo personalmente oppure alienarlo o ancora concederlo in locazione.
L’intestazione di una proprietà immobiliare, quindi, offre la maggiore tutela perché non solo garantisce una casa in cui abitare ma – al bisogno – il coniuge beneficiario potrebbe da quel bene ricavare liquidità o una rendita.
Ovviamente questa disposizione è anche quella che importa il maggior sacrificio per il patrimonio del coniuge disponente: l’immobile, infatti, esce definitivamente dalla sua sfera patrimoniale per entrare in quella di un altro soggetto.
2. La costituzione del diritto di usufrutto
Il diritto di usufrutto è il diritto di un soggetto (che si chiama usufruttuario) di godere di un immobile di proprietà di un altro soggetto (che si chiama nudo proprietario) e di raccoglierne i frutti, salvo l’obbligo di rispettare la destinazione economica del bene.
Riconoscendo il diritto di usufrutto in favore dell’altro coniuge su un proprio immobile, quindi, non ci si spoglia della proprietà, ma questa è nuda, perché viene privata del possesso e del godimento che passano in capo all’usufruttuario.
Il coniuge che si vede riconosciuto il diritto di usufrutto acquisisce quindi il possesso dell’immobile e ne può godere ad esempio abitandolo se si tratta di un immobile ad uso abitativo, oppure cedendo il proprio diritto a terzi (se ciò non gli è stato vietato dal titolo costitutivo del diritto), o locando il bene, concedendo ipoteca e reclamando un’indennità alla cessazione dell’usufrutto per le migliorie eventualmente apportate al bene stesso.
Alla morte dell’usufruttuario, il diritto di usufrutto si estingue e la nuda proprietà dell’immobile torna ad essere piena: possesso e godimento tornano quindi in capo al proprietario.
Certo, l’usufruttuario non potrà alienare l’immobile, ma anche questa soluzione assicura un’ampia tutela al coniuge usufruttuario: per tutta la durata della sua vita, infatti, potrà goderne abitandolo o persino mettendolo a reddito ad esempio con un contratto di affitto.
E il sacrificio del patrimonio del coniuge proprietario è temporaneo.
3. Il diritto di abitazione
E’ il diritto di abitare un immobile.
Il diritto di abitazione spetta al suo titolare e alla sua famiglia, i quali potranno alloggiare nell’immobile limitatamente ai propri bisogni.
Quindi, se si tratta di un immobile molto grande, non è detto che il diritto si estenda all’intero immobile.
In caso di coniugi, spetta per legge il diritto di abitazione sulla casa coniugale in favore del coniuge del proprietario defunto.
Cionondimeno, può tornare utile questo diritto se si vuole tutelare il coniuge a prescindere dal proprio decesso oppure per regolamentare i rapporti economici e patrimoniali tra coniugi in sede di separazione o divorzio o ancora se il diritto non riguarda la casa coniugale.
Il diritto esisterà finché il suo titolare abiterà nell’immobile: ciò significa che si estinguerà alla morte del beneficiario oppure se il beneficiario cesserà di abitarvi.
Viene da sé, quindi, che il diritto di abitazione non potrà essere ceduto e che dell’immobile non potrà in alcun modo disporsi.
Il consiglio in più
La scelta tra una delle soluzioni sopra elencate dipende certamente dal grado di tutela che un coniuge vuole offrire all’altro.
Attenzione però.
Oltre a valutazioni soggettive ed economiche legate ai rapporti tra i coniugi, occorre tenere in debita considerazione – laddove ve ne fossero – i diritti degli eredi del coniuge disponente.
A fronte, ad esempio, di un patrimonio modesto, il trasferimento della intera proprietà di un immobile potrebbe ledere la quota di legittima spettante agli eredi con il conseguente rischio per il coniuge beneficiario di subire un’impugnazione dell’atto di trasferimento. Meglio allora sarebbe, in un tale caso, ad esempio optare per il diritto di abitazione: più modesto, certo, ma proprio per tale ragione magari più sicuro perché porrebbe al riparo dal rischio di ledere la quota di legittima spettante agli altri eredi.