Abstract
I giustificati motivi invocati dall’art. 9 della L. n. 898/1990 ai fini della revisione del diritto a percepire l’assegno divorzile o del suo ammontare possono essere individuati solo nei fatti sopravvenuti che modificano le condizioni economiche degli ex coniugi e l’assetto patrimoniale sussistenti al momento della pronuncia del provvedimento attributivo dell’assegno. Le nuove interpretazioni giurisprudenziali non sono qualificabili come fatti e quindi non possono legittimare una richiesta di revisione.
Premessa
Con la sentenza n. 11490 del 1990, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione avevano affermato che l’assegno divorzile di cui all’art. 5 L. n. 898/1990 avesse carattere esclusivamente assistenziale e che il suo presupposto andasse individuato nella inadeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge richiedente a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio.
Tale orientamento è rimasto fermo per quasi un trentennio.
Si fa strada una differente interpretazione
Nel 2017 la Corte di Cassazione con la sentenza n. 11504 della Sezione I Civile, ha affermato che l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge che chiede di poter beneficiare dell’assegno divorzile deve essere valutata alla luce del principio dell’autoresponsabilità economica di ciascun coniuge, da considerarsi ormai come persone singole.
Posto che la ragione dell’esistenza dell’assegno divorzile risiede nell’inderogabile dovere di solidarietà economica post coniugale, solo l’accertamento della condizione di non autosufficienza economica dà diritto a percepirlo.
In caso di accertata indipendenza o autosufficienza economica del coniuge più debole, non si può riconoscere in suo favore il diritto a percepire l’assegno divorzile ancorché le sue condizioni economiche non siano tali da garantirgli il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
L’autosufficienza, idonea ad escludere il diritto all’assegno divorzile, può essere desunta dal possesso di redditi di qualsiasi specie: es. titolarità di beni mobili e immobili, la disponibilità di una casa di abitazione, la capacità e la possibilità effettive di lavoro personale.
Si afferma un nuovo orientamento
A distanza di circa 30 anni, le Sezioni Unite con la sentenza n. 18287 del 2018 sono nuovamente intervenute per dirimere il contrasto giurisprudenziale insorto in materia di assegno divorzile.
Questi i punti cardine in cui si possono riassumere le novità introdotte dalla citata sentenza ed a cui oggi occorre riferirsi al fine di valutare la sussistenza del diritto all’assegno divorzile ed il suo ammontare:
a) l’assegno divorzile mira a riconoscere al coniuge che lo richiede non solo il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, ma anche il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate (natura assistenziale, compensativa e perequativa dell’assegno);
b) l’assegno divorzile non mira alla ricostituzione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo dato dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi;
c) il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi in capo al richiedente e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive quali il contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune e di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, la durata del matrimonio, l’età dell’avente diritto e le potenzialità reddittuali future.
La questione: il nuovo orientamento giurisprudenziale può fondare la richiesta di revisione dell’assegno divorzile?
Alla luce di questo nuovo orientamento, accade che un ex coniuge tenuto a corrispondere l’assegno divorzile riconosciuto durante la vigenza dell’orientamento del 1990, si rende conto che applicando i nuovi criteri l’ex coniuge beneficiario dell’assegno non avrebbe più diritto a percepire l’assegno, quantomeno non in quella misura, e anche per tale ragione ne chiede la revisione.
E’ questo il caso oggetto della sentenza della Corte di Cassazione n. 1119/2020 – I Sezione Civile.
La Cassazione spiega che la revisione dell’assegno divorzile prevista all’art. 9 L. n. 898/1970 presuppone una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare l’assetto patrimoniale sussistente al momento della pronuncia del provvedimento attributivo dell’assegno. In sede di revisione il giudice non può quindi procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell’assegno, ma deve limitarsi a verificare se ed in che misura siano sopravvenute circostanze di fatto che abbiano alterato l’equilibrio e, se accertate, adeguare l’importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale-reddituale.
Se il giudice accerta il sopravvenuto mutamento delle condizioni patrimoniali, potrà procedere alla revisione dell’assegno divorzile sulla scorta, questa volta sì, dei rinnovati principi giurisprudenziali.
La Corte chiarisce che una nuova interpretazione giurisprudenziale non costituisce giustificato motivo idoneo a chiedere la revisione in quanto non è giuridicamente qualificabile come fatto né è fonte normativa.
Se si considerassero gli orientamenti giurisprudenziali quali giustificati motivi si rischierebbe di andare incontro a conseguenze incongrue, sia nell’ipotesi di un successivo ulteriore mutamento giurisprudenziale, sia nell’ipotesi in cui il giudice del merito non aderisse alla nuova linea interpretativa.
Sulla base di queste considerazioni, la Suprema Corte ha quindi rigettato il ricorso dell’ex coniuge che chiedeva la revisione dell’assegno divorzile in forza del nuovo orientamento giurisprudenziale affermatosi ma non offriva alcuna prova circa l’intervenuta modifica delle condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi rispetto a quelle considerate dal giudice che aveva riconosciuto l’assegno in favore della ex moglie.
Il nuovo orientamento non può quindi inficiare i provvedimenti divenuti definitivi.