Premessa
Con la ripresa delle attività economiche, torniamo necessariamente a concludere contratti, a portare avanti trattative, ad assumere nuovi obblighi.
Siamo però ancora in un momento di incertezza: sono possibili nuovi lockdown? la redditività di alcune attività ritornerà ai livelli pre Covid? i bisogni e le abitudini dei clienti sono mutati?
Sono, questi, elementi che ci consentirebbero di valutare la convenienza dell’affare e la capacità dei contraenti di rispettare le obbligazioni.
Tuttavia non è possibile, allo stato, rispondere a queste domande o fare delle previsioni. D’altro canto, però, è anche impensabile rimanere in stand by e attendere tempi migliori: il rischio sarebbe quello di perdere preziose occasioni e di non far ripartire la propria attività in modo adeguato.
La gestione dell’incertezza
Posto che la tutela che rinveniamo nel codice civile per i contratti già in essere nel momento in cui è scoppiata la pandemia non può anche applicarsi ai futuri contratti, la soluzione va ricercata nella previsione e gestione dell’incertezza.
Ciò è possibile elaborando delle clausole già ribattezzate clausole coronavirus attraverso le quali i contraenti, in relazione alle loro esigenze, individuano – ora per allora – i) gli eventi che potrebbero pregiudicare il rapporto contrattuale, ii) il pregiudizio che deve in concreto verificarsi e iii), infine, i meccanismi di tutela ritenuti più opportuni.
Vediamo in concreto come possono operare queste clausole.
L’esperienza ci insegna che ci sono attività che in caso di un aumento di contagi rischierebbero un immediato nuovo lockdown e ciò per effetto delle disposizione di sospensione dell’attività o di restrizioni alla circolazione. Questo significa che dall’oggi al domani potrebbe non essere più possibile rendere alcune prestazioni, ma certo non per fatto e colpa del contraente inadempiente: si tratterebbe, infatti, di una impossibilità pacificamente incolpevole e soprattutto non evitabile.
In questi casi potrebbe far comodo prevedere l’immediata risoluzione del contratto. La parte che non è più in grado di rendere la prestazione si metterebbe così al riparo dal rischio di essere considerata inadempiente e, soprattutto, di dovere un risarcimento danni. L’altra parte, a sua volta, potrebbe avere interesse a non rimanere vincolata ad un contratto che nulla più le dà ed anzi a tornare ad essere libera di ricercare un altro contraente in grado di rendere quella prestazione oppure di optare per altre soluzioni.
Vi sono poi casi in cui il verificarsi di uno degli eventi sopra citati (es. sospensione di alcune attività o limitazioni alla circolazione), pur non incidendo sulla possibilità di eseguire la prestazione, la renderebbe più gravosa.
Cerchiamo di capire con un esempio cosa significa.
Pensiamo alla locazione di un immobile da destinare all’esercizio di un’attività commerciale non soggetta a sospensione e consideriamo il caso, assai frequente, che le parti abbiano convenuto un canone superiore alla media del mercato perché l’immobile è ubicato in una zona particolarmente frequentata (es. all’interno di un centro commerciale o vicino ad una stazione) e ciò rappresenta un beneficio per il conduttore. L’adozione di misure restrittive alla circolazione ridurrebbe però il passaggio di persone e quindi il numero di potenziali clienti. In un siffatto nuovo contesto, l’ubicazione dell’immobile rischierebbe di divenire irrilevante, se non addirittura pregiudizievole e in entrambi i casi il canone diventerebbe eccessivamente oneroso rispetto al nuovo stato di fatto e alla valutazione che può darsi all’immobile.
In tale situazione le parti possono avere interesse non già a risolvere il contratto (per tornare all’esempio: il conduttore non vuole cessare la sua attività o trasferirsi altrove, né forse il locatore può sperare di trovare un nuovo conduttore disposto a pagare quel canone), piuttosto a rivedere alcune clausole al fine di riequilibrare il valore delle prestazioni.
Attraverso la clausola coronavirus i contraenti potranno stabilire l’iter da seguire per avviare la rinegoziazione e apportare al contratto tutte quelle modifiche necessarie e sufficienti per mantenerlo in vita nel rispetto dei reciproci interessi.
La risoluzione sopraggiungerà solo nel caso in cui la rinegoziazione non dovesse andare a buon fine.
Consideriamo poi un altro caso, quello in cui le parti, prima della conclusione del contratto definitivo, sottoscrivono un preliminare. Può accadere che tra i due contratti intercorrano anche mesi. In questo lasso di tempo potrebbe palesarsi l’antieconomicità dell’intero affare o magari di alcune sue condizioni.
Pensiamo alla trattativa per l’acquisto di un ristorante e all’ipotesi che nelle more della sottoscrizione del definitivo emerga che il fatturato del ristorante è molto calato e non vi sono prospettive di una sua ripresa nel breve termine.
In tal caso la clausola coronavirus dovrebbe mirare a riconoscere un diritto di recesso in capo al soggetto che non ha più interesse a finalizzare la trattativa e sottoscrivere il contratto definitivo. Potrebbe sembrare che questa clausola, a differenza delle altre due, sia concepita per tutelare una sola parte. In realtà così non è.
Proprio la presenza di una sorta di via di fuga, consente di portare avanti o intraprendere nuove trattative. Attenzione, non si tratta di legittimare un recesso per mere ragioni di convenienza o per escludere la normale alea di rischio legata ad ogni contratto.
La possibilità di tirarsi indietro oppure di alleggerire l’impegno economico a fronte di una sensibile modifica di elementi macro economici, non imputabili alle parti, deve essere infatti sempre ancorata a parametri numerici ben definiti, apprezzabili oggettivamente.