Premessa
I social fanno oramai parte della nostra quotidianità: li usiamo per lavoro, per interagire con gli amici, per farci conoscere.
Ricordiamoci, però, (e qui cito l’amica Roberta Zantedeschi) che virtuale è reale.
Questo significa che anche le pubblicazioni sui profili social espongono il loro autore a responsabilità civili, penali e, se sei un dipendente, anche disciplinari.
Le responsabilità dei dipendenti possono ricadere sul datore di lavoro
Le condotte social, quando sono fonte di responsabilità, non sempre esauriscono i loro effetti pregiudizievoli a carico del solo lavoratore.
Tutt’altro.
Le aziende, infatti, sanno bene che questi comportamenti rischiano di avere degli strascichi anche in danno del datore di lavoro.
Pensiamo al caso in cui un dipendente abbia diffuso attraverso il suo profilo social informazioni che avrebbero dovuto rimanere confidenziali. Non mi riferisco ai dati sensibili, ma a fatti: ad esempio, la pendenza di trattative (che avrebbero dovuto rimanere ancora riservate) con un nuovo cliente; la perdita di un cliente; la titolarità di un marchio o di un brevetto.
Ecco, in tali casi l’azienda rischia innanzitutto un danno alla propria reputazione per l’incapacità di preservare la riservatezza delle informazioni. In concreto ciò si traduce nella perdita e mancata acquisizione di nuovi clienti. Ma se la divulgazione di certe informazioni provocasse un danno in capo ad un soggetto terzo (ad esempio l’effettivo titolare del marchio che subisce un danno per la confusione creata circa la titolarità del segno distintivo), l’azienda potrebbe essere ritenuta personalmente responsabile del risarcimento di quel danno e tenuta quindi a sostenere un esborso di denaro.
Non tutto il male vien per nuocere
Le aziende sanno però anche che i dipendenti attraverso i loro profili social personali spesso veicolano le informazioni relative al brand: si tratta di condivisioni spontanee dei contenuti che l’azienda promuove sui propri social istituzionali e che, grazie alla condivisione dei lavoratori, raggiungono un maggior numero di utenti social e quindi di potenziali clienti.
La condivisione da parte del dipendente, inoltre, viene spesso percepita come un valore aggiunto al contenuto aziendale.
Ovviamente, tanto più le condotte social del dipendente sono improntate al buon senso e al rispetto tanto più i suoi contenuti saranno presi in considerazione e considerati attendibili. A queste condizioni, la condivisione di contenuti aziendali da parte del dipendente rappresenta un beneficio per il datore di lavoro.
La svolta: saper regolamentare l’uso dei profili social dei dipendenti
C’è uno strumento che consente alle aziende i) di prevenire o quantomeno contenere i rischi conseguenti alle condotte social dei dipendenti e ii) di fare ciò senza limitare i diritti e le libertà di espressione che le persone esercitano anche attraverso i social e infine iii) di godere dei vantaggi che possono conseguire dalla condivisione dei contenuti del brand attraverso i social personali dipendenti.
Questo strumento è la Social Media Policy Interna.
Giuridicamente la SMP è un regolamento aziendale attraverso il quale l’azienda stabilisce le regole di condotta cui devono attenersi i dipendenti o i collaboratori quando interagiscono sulle piattaforme social attraverso i propri profili personali.
Come redigere una buona Social Media Policy Interna
La SMP Interna, per essere efficace, presuppone che l’azienda abbia ben presente quali sono i suoi obiettivi (tutelarsi? promuovere il brand? entrambi?), quanto sia diffuso l’uso dei social tra i suoi dipendenti e soprattutto come interagiscono i dipendenti sui social (quale linguaggio utilizzano? quali notizie condividono? quali foto pubblicano? quale messaggio si percepisce scorrendo il loro profilo?).
Quindi la SMP deve essere il frutto di una analisi preventiva, indispensabile perché il regolamento sia in grado di rispondere ai bisogni dell’azienda anche e soprattutto in considerazione delle criticità riscontrate circa l’uso dei social da parte dei dipendenti.
Per questo è auspicabile che nel processo di elaborazione della SMP interna siano coinvolti, quanto più possibile, anche i dipendenti.
Se il confronto con i lavoratori rivelasse che molti di loro usano i social in modo potenzialmente pericoloso per sé e per l’azienda, quest’ultima dovrebbe prendere in seria considerazione di non limitarsi alla stesura della SMP ma avviare anche un vero e proprio percorso educativo e formativo dei dipendenti all’uso dei social.
Solo la consapevolezza e la comprensione da parte dei lavoratori dei rischi annessi e connessi all’uso dei social garantiscono il rispetto delle regole della policy. Ed invero in assenza di tale consapevolezza, le sanzioni anche gravi previste nella SMP Interna per il caso di sua violazione potrebbero non essere sufficienti ad impedire ai dipendenti di porre in essere certe condotte.
E’ importante poi che la SMP Interna contenga regole chiare, di facile comprensione, che non possano essere fraintese.
Con riguardo alle questioni solitamente più delicate quali ad esempio la possibilità per il dipendente di esprimere sui social opinioni in contrasto con alcuni valori o scelte aziendali, è bene che l’azienda non neghi mai il diritto o la libertà ma si concentri sulla regolamentazione del suo esercizio di modo da contemperare i vari interessi: del lavoratore a godere di quel diritto; dell’azienda a non subire pregiudizi e di entrambi a non vedere pregiudicato il rapporto di lavoro.
L’imposizione di divieti da parte dell’azienda, oltre che non risolutiva, rischierebbe di essere illegittima.